Falso in atto pubblico l’annotazione inserita successivamente sulla cartella clinica di una paziente
Non può dubitarsi della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato; il dato cronologico della annotazione è indubbiamente significativo, poiché la cartella clinica rappresenta un diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, sicché l'alterazione di tale diario, inserendo elementi ora per allora, pregiudica gravemente la funzione tipica dell'atto e non può rappresentare in alcun modo un "errore materiale" o una "innocua integrazione".
Anche laddove il soggetto agisca per ristabilire la verità effettuale, alterando il testo della cartella clinica, sussiste ugualmente il reato di falso materiale, perché la cartella acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata (Sez. 5, n. 35167 del 11/07/2005, Pasquali, Rv. 232567; Sez. 5, n. 13989 del 17/02/2004, Castaido, Rv. 228024). Ciò perché l'atto adempie alla funzione di "diario" della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, la cui annotazione deve quindi avvenire contestualmente al loro verificarsi.
La fede pubblica, costituente il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice in questione, viene ad essere lesa anche quando, indipendentemente dal contenuto dell'atto pubblico, non vi sia corrispondenza tra l'effettivo "iter" di formazione del medesimo atto e quello che appare dal suo aspetto grafico, dandosi luogo anche in tale ipotesi alla falsa rappresentazione di una realtà giuridicamente rilevante; il che costituisce, a ben vedere, la vera ragione giustificativa dell’orientamento interpretativo secondo cui sussiste il reato di falso ogni qual volta si intervenga con modifiche su di un atto già definitivamente formato, pur quando l'intento dell'agente sia quello di renderne il contenuto conforme al vero.
Se così è, ne deriva che la coscienza e la volontà di operare un tale intervento non può non equivalere a quella di realizzare una diretta, effettiva e riconoscibile lesione proprio del bene giuridico protetto dalla norma, a nulla rilevando che, per mero errore di diritto circa la effettiva portata della norma medesima, di detta lesione il soggetto possa non avere piena consapevolezza
Corte di Cassazione, Sez. V Penale , Sentenza 11/09/2013 n. 37314