Medici in servizio di reperibilità esterna: pronuncia importante
Un cardiochirurgo dirigente medico di primo livello presso una struttura complessa ospedaliera incaricato del servizio di reperibilità esterna quale primo reperibile è stato condannato in primo grado per essersi rifiutato di intervenire omettendo di recarsi in ospedale malgrado le innumerevoli sollecitazioni telefoniche ricevute.
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E' orientamento di legittimità consolidato quello secondo il quale il servizio di pronta disponibilità previsto dal D.P.R. 25 giugno 1983, n. 348 è finalizzato ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere ed in tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto di guardia. Ne consegue che esso presuppone, da un lato, la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall'altro, l'immediato intervento del medico presso il reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla Sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza. Su questi presupposti, concretandosi l'atto dovuto nell'obbligo di assicurare l'intervento nel luogo di cura, il sanitario non può sottrarsi alla chiamata deducendo che, secondo il proprio giudizio tecnico, non sussisterebbero i presupposti dell'invocata emergenza. (Sez. 6, Sentenza n. 5465 del 18/03/1986 Rv. 173105 Imputato: BADESSA) e che il chirurgo in servizio di reperibilità, chiamato dal medico già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza di intervento chirurgico, deve recarsi subito in reparto e visitare il malato, non essendogli consentito di sindacare a distanza la necessità e l'urgenza della chiamata. Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell'art. 328 cod. pen., comma 1, si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all'effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell'intervento chirurgico
Come ha chiarito l'ultimo arresto citato, l'istituto della reperibilità o di "pronta disponibilità" costituisce una modalità organizzativa dei servizi apprestati dalle aziende sanitarie ed è disciplinato dal D.P.R. 25 giugno 1983, n. 348, art. 25, recante trattamento del personale delle unità sanitarie locali (G.U. 20 luglio 1983, n. 197), successivamente sempre richiamato o ripreso dai contratti collettivi nazionali dell'area della dirigenza medico- veterinaria del servizio sanitario nazionale (v. in particolare artt. 19 e 20 C.C.N.L. 5.12.1996, art. 16, comma 6, C.C.N.L. 1998-2001 e interpretazione autentica dell'art. 16 C.C.N.L. 8.6.2000 concordata il 7.5.2003). Tale servizio "è caratterizzato dall'immediata reperibilità del dipendente e dall'obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel più breve tempo possibile dalla chiamata".
Va ribadito quanto questa Corte ha già avuto modo di precisare, ovvero che il chirurgo in servizio di reperibilità, chiamato dal collega già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza di intervento chirurgico, deve recarsi subito in reparto e visitare il malato. L'urgenza ed il relativo obbligo di recarsi subito in ospedale per sottoporre a visita il soggetto infermo vengono a configurarsi in termini formali, senza possibilità di sindacato a distanza da parte del chiamato. Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell'art. 328 c.p., comma 1, si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all'effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell'intervento chirurgico (Cass. sez. 6, n. 6328/1996, ced 205089).
In ogni caso, come si è detto all'inizio, la Corte territoriale non ha affatto negato la sussistenza di uno spazio discrezionale in capo al D.C. rispetto alla richiesta più volte fattagli di recarsi in ospedale. Ha piuttosto negato - con valutazione in fatto del tutto logica e priva di vizi giuridici - che il rifiuto del suo intervento potesse essere giustificato nel momento in cui fu opposto.
In particolare, correttamente - dal punto di vista assunto - la Corte territoriale ha ritenuto inincidenti le conclusioni della consulenza di parte rispetto al momento del rifiuto.
Prova tecnica che - volta a provare l'inutilità di qualsiasi approccio terapeutico - oltretutto, si palesa per di più inconferente. L'art. 328 c.p., infatti, delinea una fattispecie penale volta ad assicurare il regolare funzionamento della pubblica amministrazione, imponendo ai pubblici funzionari di assolvere, con scrupolo e tempestività, i doveri inerenti alla loro attività funzionale al fine di prevenire situazioni di pericolo in materia di giustizia o sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità. E' del tutto irrilevante che dall'indebita condotta di rifiuto derivi un effettivo pregiudizio per i beni finali presi in considerazione dalla norma, per cui non assume alcun rilievo che l'opinione del D.C., sulla necessità dell'immediato intervento, fosse diversa sia da quella espressa dal suo collega Dott. P. e dagli altri colleghi e - segnatamente - dal chirurgo vascolare Dott. LE. che, sostituendosi al D.C., sottopose il L. all'operazione chirurgica.
Quanto alla doglianza in ordine al profilo psicologico, i giudici di merito hanno ampiamente ricostruito, nei minimi particolari, le vicende accadute la sera di sabato del (OMISSIS) presso l'ospedale e le comunicazioni telefoniche intercorse, evidenziando la sussistenza della piena consapevolezza e volontà dell'imputato di rifiutare di recarsi in ospedale per partecipare all'intervento sul L., cosicchè il motivo sull'elemento soggettivo del reato (dolo generico) si risolve in un'inammissibile censura di fatto sulla vantazione che in proposito hanno compiuto i giudici di merito, con adeguata motivazione, giuridicamente corretta e perfettamente logica.
Corte di Cassazione - Sesta sezione Penale - sentenza n. 12736/2013